Esperienze, percezioni e opinioni di bambinə e ragazzə sulla pandemia di Covid-19 in Italia
NB: per un utilizzo più inclusivo della lingua italiana è stato proposto nel dibattito pubblico di utilizzare il simbolo ə, chiamato schwa, al posto della desinenza maschile, per definire un gruppo misto di persone, come attualmente si insegna a scuola.
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<< La nostra è una vita regolata da dei colori… cioè, da esperienza personale, un giorno non sapevo se potevo uscire o no perché non sapevo che colore fossimo, perché i colori delle regioni cambiano così…>> (A. 15 anni)
VITE A COLORI
È il titolo del rapporto presentato dall’UNICEF che raccoglie le esperienze vissute da bambinə e adolescenti nel primo anno di pandemia. È il risultato dal lavoro congiunto dell’Ufficio di Ricerca UNICEF-Innocenti, del Programma UNICEF dell’Ufficio Regionale per l’Europa e l’Asia centrale in Italia e del Comitato Italiano per l’UNICEF Fondazione Onlus, e realizzato grazie al contributo dell’Ambasciata Britannica a Roma.
Il progetto ha coinvolto un totale di 114 partecipanti tra i 10 e i 19 anni, frequentanti le scuole superiori del primo e del secondo ciclo di 16 regioni italiane, incluso bambinə e ragazzə che si identificano come LGBTQI+, minori stranieri non accompagnati (MSNA) e adolescenti con background socio-economico svantaggiato. I dati sono stati raccolti online tra febbraio e giugno 2021 attraverso 20 focus group, 16 interviste singole e 25 contributi singoli asincroni ricevuti via email. Si è deciso di raccontare la complessità di queste storie semplificandole e unendole in un’unica metafora sportiva e avventurosa: il surf. Il team di ricerca ha immaginato gli adolescenti intervistati come surfer debuttanti che devono imparare ad affrontare le prime onde e si trovano a farlo proprio durante la pandemia di Covid-19, paragonata a un maremoto.
“Infelice perché mi manca tutto quello che facevo prima del Covid, tipo uscire liberamente senza mascherina, oppure andare a fare una passeggiata fuori comune, andare in palestra anche uscire con gli amici a ritrovarsi tutti in casa non lo so a guardare un film con gli amici, a mangiare una pizza” (G, 19 anni)
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Bambinə e ragazzə partecipanti a questo progetto di ricerca si mostrano molto consapevoli delle loro responsabilità nei confronti degli altri. Nonostante lo sconvolgimento che il Covid-19 e le misure governative per contenerlo hanno comportato per le loro vite, sono preoccupatə per i parenti più anziani e si sono volontariamente sacrificatə per proteggerli, seguendo le regole e adattandosi a una quotidianità instabile e sempre in fieri. La pandemia ha infatti costretto i partecipanti a interrompere molte delle loro attività e abitudini, esponendoli a sensazioni di stress e frustrazione. Tuttavia, questa nuova situazione ha dato loro l’opportunità di crearsi nuove abitudini e scoprire nuovi interessi e competenze, non senza nuove difficoltà. Soprattutto durante il primo lockdown, bambinə e ragazzə narrano di aver avuto tempo per dedicarsi ad attività che altrimenti non avrebbero mai iniziato. Raccontano della scoperta di nuove passioni, riportano anche una storia positiva di adattamento e creazione di “nuove normalità”. Prima tra tutte le novità, si parla di didattica a distanza (DAD), sulla quale i partecipanti hanno pareri vari e dimostrano differenti attitudini. Inevitabilmente, la pandemia ha cambiato anche il modo in cui bambinə e ragazzə hanno interagito con le persone intorno a loro, dalle più vicine agli insostituibili custodi delle loro ritualità quotidiane. I partecipanti alla ricerca hanno dovuto imparare a ri-orientarsi in una nuova “geografia” in cui gli spazi delle relazioni sociali si sono profondamente riconfigurati.
“Perché vado a scuola, sto sei ore con la mascherina, torno a casa e sono stanca perché mi sento con questa cosa davanti, non posso toglierla per sei ore e mi sento… bloccata… ogni volta che penso che voglio fare qualcosa poi mi ricordo che non posso farla…” (C, 12 anni)
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I luoghi della virtualità hanno permesso di mantenere relazioni che altrimenti si sarebbero interrotte. Per alcuni hanno addirittura avuto un effetto espansivo. Molti partecipanti hanno messo in evidenza come alcune relazioni siano nate online e online si siano rafforzate. D’altro canto, gli spazi sociali della scuola sono andati persi, lasciando un vuoto profondo. Sembra che la restrizione degli spazi della socialità convenzionale abbia accresciuto la consapevolezza dell’importanza dei rapporti sociali e abbia aiutato a migliorare le capacità di ricercare, stabilire e mantenere relazioni. Al di là della rinegoziazione delle proprie pratiche quotidiane e dei propri spazi sociali, questa ricerca racconta di un altro tipo di cambiamento che molti bambinə e ragazzə riconoscono in sé stessə, un cambiamento interiore. L’analisi dati narra infatti la storia di partecipanti alla ricerca che crescono, grazie anche alle particolari difficoltà affrontate in pandemia. Essi sono consapevoli di aver preso coscienza del loro essere e, anche se spesso si sono sentiti fragili e “piccoli”, hanno scoperto importanti risorse interiori. La pandemia ha in fondo donato loro più tempo per pensare, per pensarsi, per capire quali sono per loro le cose che contano.
“No che poi la gente impazzisce secondo me, cioè anche dal punto di vista psicologico. Tipo… secondo me se noti, dall’inizio della pandemia in televisione vedi solo quello, e non c’è nient’altro. Cioè tu cambi canale e c’è solo quello. Ok che è importante essere informati perché comunque è una situazione di una pandemia globale non è una cosa da… cioè nel senso è una cosa importante però, secondo me dovrebbero anche un po’ distrarre la gente…” (N, 16 anni)
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Riflessioni emerse dal rapporto
Vite a Colori narra anche di una “generazione di surfer”, con un’identità comune fatta di forti esperienze condivise legate alla pandemia, caratterizzata da fragilità e resilienza, dall’incertezza nei confronti del futuro e dal timore che la pandemia possa amplificare diseguaglianze esistenti e crearne di nuove. Alcuni elementi interessanti emersi dal Rapporto:
La pandemia da COVID-19 ha interrotto attività e abitudini, limitato la socialità, esponendo ragazze e ragazzi a sensazioni di stress e frustrazione;
Ha però riconfigurato spazi di socialità e interazione, stimolato la ricerca di nuovi interessi;
Ha lasciato più tempo per pensare, per pensarsi, per capire quali sono le cose che contano, e per acquisire nuove competenze.
Resta l’incertezza nei confronti del futuro. Il ritorno a una nuova “normalità” – e a un approccio meno individualista, più attento al benessere della collettività e caratterizzato da cura e rispetto reciproco – appare l’unica via percorribile.
I risultati di questa ricerca sottolineano la fondamentale importanza di coinvolgere le ragazze e i ragazzi nel dopo pandemia. Bisogna partire anche da loro per garantire una risposta adeguata ai bisogni emergenti. I decisori politici in Italia devono garantire che ciò avvenga.
UNICEF propone una serie di raccomandazioni:
promuovere il benessere psicofisico e la salute mentale di adolescenti e giovani, così come da recenti Osservazioni Conclusive rivolte dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia all’Italia;
ripensare l’istruzione e la didattica mettendo al centro le esigenze e i diritti degli studenti;
assicurare l’ascolto della voce dei giovani nei processi di costruzione del futuro post COVID-19 e nelle politiche e nei piani di riduzione della povertà a partire da quanto già previsto dal V Piano di azione sull’infanzia e l’adolescenza e cogliendo l’occasione dell’attuazione del Child Guarantee in Italia;
favorire un approccio inclusivo e di contrasto a discriminazione e razzismo attraverso strumenti specifici integrati nei piani nazionali.
Risulta importante infine promuovere analisi longitudinali per capire l’impatto di lungo periodo della pandemia, con uno sguardo particolare su gruppi specifici, considerati più vulnerabili.
Il farmaco arriva dalla più antica casa farmaceutica al mondo, la Merck, fondata nel 1668, un’azienda pubblica tedesca quotata in borsa, con sede a Darmstadt in Germania.
Il Lagevrio, noto anche come Molnupiravir o MK 4482, sviluppato da Merck Sharp & Dohme in collaborazione con Ridgeback Biotherapeutics, è il primo farmaco antivirale per la cura del morbo Sars-Cov-2 negli adulti, con somministrazione per via orale.
La pillola della Merck opera contrastando la capacità del virus di replicarsi. Il farmaco è quindi stato concepito per immettere errori nel codice genetico del virus e bloccarne così la duplicazione; limitandone perciò il rischio di esiti gravi e letali.
In più, il Lagevrio non attacca la proteina spike del virus, lo strumento con cui esso si introduce nella cellula, e questo dovrebbe assicurare gli effetti curativi a prescindere dalle varianti dell’agente patogeno. Dalle risposte agli studi clinici farmacologici è risultato che il farmaco, somministrato entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi, è in grado di ricondurre al 50% il rischio di ospedalizzazione per le persone con fattori di rischio rilevanti, e quasi al 100% il rischio di esito letale. La posologia del Molnupiravir prevede 2 pasticche al giorno per 5 giorni.
L’agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari nel Regno Unito, la MHRA (Medicines & Healthcare products Regulatory Agency), l’ha già approvato dal 4 Novembre e ne raccomanda l’uso immediato appena dopo un test positivo ed entro 5 giorni al più tardi dalla comparsa dei sintomi. L’Ema (European Medicines Agency), l’agenzia europea per i medicinali, sta valutandone l’autorizzazione alla commercializzazione. Tuttavia ha già emesso i consigli sull’uso in caso di impiego “precoce” da parte delle autorità nazionali, ad esempio in contesti di emergenza.
Il Lagervio potrebbe essere somministrato ai cosiddetti soggetti fragili, con età superiore ai 60 anni e/o con fattori di rischio come malattie cardiache, diabete, obesità.
La possibilità di somministrare il trattamento per via orale è importante, perché significa che può essere somministrato anche al di fuori di un ambiente ospedaliero, prima che il COVID-19 abbia raggiunto uno stadio grave.
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Il Sars-Cov2 è un virus mRna che ha bisogno di replicarsi tramite un processo conosciuto come rna polimerasi. Si riproduce perciò utilizzando dei “mattoncini”, tra i quali la citidina, ossia la sostanza a cui il Lagervio è in grado di sostituirsi. Facendo così genera una quantità di errori che ingannano l’enzima virale deputato alla loro correzione, portando quindi all’interruzione della riproduzione di nuovi virus infettanti.
Sarà ovviamente necessario, come avviene normalmente durante lo sviluppo di un medicinale, sottoporre il Lagervio a un’attenta azione di farmacovigilanza per confermare la sicurezza, l’efficacia e la tollerabilità.
La prima patologia emersa dalla pandemia del COVID-19 e non ancora definita sotto moltissimi aspetti. Gli esperti la stanno studiando e stanno cercando le risposte per contrastarla. La situazione è in continua evoluzione.
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Il 01 Luglio 2021, l’Istituto Superiore di Sanità ha diramato il Rapporto ISS COVID-19 n. 15/2021 “Indicazioni ad interim sui principi di gestione del Long-COVID” (leggi il rapporto completo) con l’intento di sintetizzare l’inquadramento di questa nuova condizione clinica e di fornire indicazioni generali per la sua presa in carico, in linea con le raccomandazioni fornite dall’OMS. A oggi non risultano aggiornamenti ufficiali da parte dell’Istituto Superiore di Sanità rispetto a tale rapporto.
Vediamo cos’è il Long COVID secondo quanto riportato nel rapporto dell’ISS
Il Long COVID è stata riconosciuta come un’entità clinica specifica riguardante un numero importante di persone già colpite dal virus, le cui manifestazioni cliniche non si esauriscono a distanza di poche settimane dalla fase acuta, ma invece si prolungano nel tempo con un complesso eterogeneo di manifestazioni cliniche subacute e croniche che precludono un pieno ritorno al precedente stato di salute. Questa persistenza di sintomi può riguardare soggetti di qualunque età e di diverse severità della fase acuta. L’ampiezza dello spettro sintomatologico è tale da rendere complessa la definizione del quadro clinico ed epidemiologico. L’impatto clinico è rilevante al punto di richiedere provvedimenti e stanziamenti appositi e la creazione di percorsi di diagnosi e assistenza basati su un approccio multidisciplinare.
Molteplici gli aspetti ancora da definire. Restano senza risposta numerosi interrogativi di ricerca; i dati a disposizione sono in relazione a popolazioni diverse, con tempi di osservazione differenti e con diversi approcci diagnostici sintomatologici e strumentali. Non è nota la fisiopatologia delle manifestazioni cliniche persistenti, la cui definizione avrebbe grande importanza sia per il trattamento dei sintomi sia per analizzare il ruolo dell’infezione virale, dell’infiammazione e della risposta immune in tutte le fasi della malattia. Non è definito il potenziale ruolo della vaccinazione nel condizionare la comparsa e la gravità delle forme subacute e croniche. Ancora non definiti i meccanismi con i quali l’infezione determina il Long-COVID; crescenti evidenze supportano l’ipotesi di una genesi da danno d’organo diretto causato dal virus, ma potrebbe anche essere coinvolta una risposta immunitaria innata con rilascio di citochine infiammatorie o lo sviluppo di uno stato pro-coagulativo. Neppure sono note le ragioni per cui solo alcuni pazienti sviluppano il Long-COVID; sebbene l’età avanzata, il sesso femminile, l’ospedalizzazione e l’indice di massa corporea sembrino fattori favorenti. Più frequente a seguito di ospedalizzazione, con una apparente correlazione con il numero delle patologie croniche presenti e con la gravità degli interventi richiesti, ma tale associazione rimane tuttavia non ancora definita. Anche i bambini, seppur raramente, possono presentare sintomi persistenti e specifici per l’età.
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La terminologia più frequentemente usata per definire le fasi che seguono la malattia acuta da SARS-CoV-2 è: Malattia COVID-19 sintomatica persistente (segni e sintomi attribuibili al COVID-19 di durata compresa tra 4 e 12 settimane dopo l’evento acuto) e Sindrome post-COVID-19 (segni e sintomi che si sono sviluppati durante o dopo un’infezione compatibile con il COVID-19, presenti per più di 12 settimane dopo l’evento acuto e non spiegabili con diagnosi alternative). Il Long-COVID comprende sia la forma sintomatica persistente che la sindrome post-COVID. Purtroppo ancora mancano chiari criteri, condivisi internazionalmente, per definire il Long-COVID. Questo inevitabilmente crea una incertezza nella diagnosi e una ampia variabilità nell’identificazione di questa condizione.
Le manifestazioni clinichesono molto variabili e non esiste un consenso sulle loro caratteristiche. La grande variabilità di sintomi e segni clinici possono presentarsi sia singolarmente che in diverse combinazioni. Possono essere transitori o intermittenti e possono cambiare la loro natura nel tempo, oppure possono essere costanti. In generale si considera che più grave è stata la malattia acuta, maggiore rischia di essere l’entità dei sintomi nel tempo. Tuttavia può accompagnare anche persone che hanno avuto in fase acuta unicamente sintomi lievi come febbre, tosse e spossatezza. Le manifestazioni sintomatologiche possono essere suddivise in due categorie: manifestazioni generali e manifestazioni organo-specifiche. La frequenza di presentazione di queste manifestazioni non è ancora stata stabilita con certezza.
Fonte: Rapporto ISS COVID-19 n. 15/2021
Le manifestazioni generali più frequenti includono astenia importante e persistente (è il sintomo documentato con maggiore frequenza), anoressia, debolezza muscolare, febbre recidivante, dolori diffusi, mialgie, artralgie, peggioramento della qualità della vita.
Le manifestazioni organo-specifiche si riscontrano con un’ampia gamma di danni a lungo termine su vari organi, compreso il sistema respiratorio, cardiovascolare, nervoso, gastrointestinale, l’apparato otorinolaringoiatrico, la cute, i reni, il sistema ematologico ed endocrino. Le conseguenze respiratorie sono caratterizzate in particolare da dispnea con e senza necessità di utilizzo cronico dell’ossigeno, tosse persistente e diminuzione della capacità di espansione della gabbia toracica. I sintomi cardiovascolari oscillano da senso di oppressione e dolore al petto, a tachicardia e palpitazioni al minimo sforzo, aritmie e variazione della pressione arteriosa. La manifestazione neurologica più frequente è la cefalea, caratterizzata dalla localizzazione bilaterale moderatamente grave, con qualità pulsante o pressante nella regione temporo-parietale, frontale o periorbitale. Le caratteristiche più evidenti sono l’insorgenza improvvisa o graduale, e la scarsa risposta ai comuni analgesici. Gli anziani e le persone con deficit cognitivo o quelli in terapia cronica con i farmaci antipertensivi hanno un rischio aumentato di sviluppare un’encefalopatia post-COVID. Il deterioramento cognitivo, cosiddetto “annebbiamento cerebrale” (brain fog) si manifesta con difficoltà di concentrazione e attenzione, problemi di memoria, difficoltà nelle funzioni esecutive. Tra le manifestazioni del sistema nervoso periferico persistenti dopo la risoluzione di altri sintomi rientrano le neuropatie periferiche e la perdita di gusto e dell’olfatto. Anche la disautonomia è una sindrome che sta recentemente emergendo. Le manifestazioni psichiatriche/psicologiche più frequentemente riportate dai sopravvissuti all’infezione acuta sono il sonno poco riposante e non ristoratore, malessere cronico, depressione del tono dell’umore, ansia, delirium e psicosi. La distanza sociale obbligatoria per COVID-19 è un fattore precipitante che contribuisce all’alta incidenza del delirium nei pazienti, i quali si sentono disperati, isolati, separati dalle famiglie. Alcuni pazienti possono presentare sintomi collegati a disturbo da stress post-traumatico. I sintomi a livello gastrointestinale sono la perdita di appetito, nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, dispepsia, reflusso gastroesofageo, eruttazione, distensione addominale. Diversi studi stanno valutando le conseguenze della sindrome del colon irritabile post-infettivo. La persistente disfunzione dell’apparato otorinolaringoiatrico si manifesta con disturbi di olfatto, quali iposmia o parosmia, disfunzioni della deglutizione e del gusto, acufeni, otalgia, mal di gola, disfonia. La manifestazioni cutanee più comuni sono l’eritema pernio, le eruzioni papulo-squamose caratterizzate da papule e placche eritemato-squamose, rash morbilliformi ed eruzioni orticaroidi. Per quel che concerne l’alopecia, la forma più comunemente associata è il telogen effluvium, più comunemente inquadrabile come una perdita di capelli autolimitante e acuta, con durata inferiore a sei mesi. Riguardo alle patologie immunomediate con manifestazioni dermatologiche, sono stati descritti casi di slatentizzazione di forme clinicamente mute e di riacutizzazione di psoriasi e alopecia areata. Relativamente alle manifestazioni ematologiche, la letteratura riporta la malattia tromboembolica venosa. Alcuni pazienti dimessi senza una terapia profilattica antitrombotica hanno sviluppato embolia polmonare segmentaria, trombi intracardiaci, fistole artero-venose trombotiche, ictus ischemico. Il danno renale si manifesta con una riduzione del tasso di filtrazione glomerulare verificatasi, a distanza di tempo, anche in pazienti con una funzione renale normale durante l’infezione acuta. Le manifestazioni endocrine più frequentemente descritte sono chetoacidosi diabetica di nuova insorgenza (senza una diagnosi precedente di diabete mellito) e la tiroidite subacuta con tireotossicosi clinicamente manifesta.
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Il quadro clinico nei bambini, sebbene con minore probabilità di sviluppare una malattia grave nella fase acuta, soprattutto quelli sotto agli 11 anni, può comunque presentare in casi in numero limitato una condizione infiammatoria multisistemica nota come MIS-C (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children), tale da richiedere un approccio multidisciplinare tempestivo, finalizzato alla rapida impostazione del trattamento che, ad oggi, si è dimostrato efficace nel prevenire la possibile evoluzione verso un quadro di insufficienza multiorgano e shock. A differenza del Long-COVID, la MISC, pur presentandosi normalmente tra le 2 e le 6 settimane successive all’infezione acuta, presenta una sintomatologia e una classificazione ben determinati e sembra riconoscere dei meccanismi ben definiti. Sebbene fino ad ora descritti dai pochi studi effettuati e che possono comparire in tempi differenti e tra loro diversamente associati, i sintomi caratterizzantisono: febbre; disturbi gastrointestinali; nausea; affaticamento persistente; mal di gola; manifestazioni cutanee; cefalea; artromialgie; astenia; cambiamenti del tono dell’umore; disturbo del sonno; difficoltà di concentrazione; vertigini; palpitazioni; sensazione di fame d’aria; disfunzioni cognitive. Va sottolineato che tale sintomatologia potrebbe anche essere dovuta alle conseguenze indirette del COVID-19 nel lungo periodo, fra cui l’isolamento sociale e le ricadute socioeconomiche della pandemia sulle famiglie. Infatti la salute dei bambini può risultare profondamente influenzata da modifiche delle condizioni di vita, del reddito familiare, disoccupazione, problemi di istruzione e di accesso ai servizi sanitari, con conseguente maggior rischio di abbandono e violenza domestica.
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Il quadro clinico negli anziani. Gli anziani presentano il Long-COVID con una frequenza superiore rispetto alla popolazione giovane. Fino all’80% riferisce la persistenza di almeno un sintomo, in particolare astenia, dispnea, dolore articolare e tosse. Questa elevata prevalenza negli anziani può essere legata alla ridotta riserva dello stato funzionale e alla elevata prevalenza di fragilità, cui consegue una ridotta capacità di recupero dalle situazioni di stress. La conseguenza di questi fenomeni è spesso il peggioramento dello stato funzionale e lo sviluppo di disabilità. Speciale attenzione va dedicata all’insorgenza di disturbi neurodegenerativi, psichiatrici e di deterioramento cognitivo . Dati indicano che, rispetto ad altri eventi clinici acuti, durante i primi 90 giorni dopo una diagnosi di COVID-19, la probabilità di sviluppare demenza è aumentata e il rischio di demenza è stimato intorno al 2% tra i pazienti con più di 65 anni. Uno stato di malnutrizione è stato osservato nel 26-45% dei pazienti e gli anziani sono particolarmente a rischio per questa condizione e per le conseguenze ad essa associate, quali atrofia muscolare, sarcopenia e fragilità.
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Quanto è frequente il Long-COVID? Una stima precisa è difficile a causa della variabilità di metodi, definizione e popolazioni studiate. Secondo un recente documento riassuntivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità un quarto dei soggetti con COVID-19 manifesta sintomi persistenti a distanza di 4-5 settimane dal riscontro della positività. La frequenza di identificazione delle alterazioni è fortemente influenzata dall’entità dell’approfondimento strumentale. La varietà dei sintomi e degli approcci diagnostici ha portato a grande ampiezza delle stime, ma non sempre la qualità degli studi è risultata elevata, per limitata validità esterna, mancanza di gruppi di controllo, e variabilità delle metodologie impiegate. Infine, nonostante la diffusione dell’infezione, solo pochi studi hanno interessato un campione consistente. Lo studio più ampio è stato svolto nel Regno Unito dall’Office for National Statistics su un campione di oltre 20.000 persone, ha mostrato una frequenza di sintomi del 13% oltre le 12 settimane post-infezione, con un rischio maggiore nelle donne rispetto agli uomini (14,7% vs. 12,7%) e più alta nel gruppo di età 25-34 (18,2%). D’altronde in un altro studio svolto sempre nel Regno Unito su oltre 4.000 soggetti (COVID Symptom Study), la frequenza è risultata più bassa, pari al 13% a 4 settimane, del 4,5% oltre le 8 settimane e del 2,3% oltre le 12 settimane. In entrambi gli studi comunque il Long-COVID si manifestava con astenia, cefalea, dispnea e anosmia, e il rischio aumentava per i soggetti con un alto indice di massa corporea e per il genere femminile. In uno studio osservazionale svolto negli USA su pazienti dimessi da 38 ospedali, la frequenza di sintomi a 60 giorni interessava circa il 30% dei 488 soggetti, con dispnea come sintomo più frequente, seguito da tosse e alterazioni del gusto e/o dell’olfatto. Altri studi di più piccole dimensioni svolti in USA, Svizzera, Olanda, Belgio, Canada, Francia e Regno Unito hanno mostrato frequenze più alte, soprattutto per pazienti che avevano avuto una precedente ospedalizzazione. In tutti questi studi dispnea e astenia risultavano i sintomi più frequenti. Uno studio effettuato in Italia su 143 pazienti che erano stati ospedalizzati e che sono stati valutati 2 mesi dopo la prima insorgenza dei sintomi ha rilevato che solo il 13% dei pazienti era completamente asintomatico mentre il 32% riferiva 1 o 2 sintomi e il 55% aveva 3 o più sintomi. Anche in uno studio svolto in Cina su circa 1700 pazienti precedentemente ospedalizzati, la frequenza di sintomi a sei mesi è risultata molto elevata, 76% dei pazienti con almeno un sintomo, con segni residui polmonari presenti in oltre la metà dei casi. Recenti dati indicano tuttavia una frequente persistenza di sintomi anche nei bambini affetti da COVID19, con importante impatto sulle attività quotidiane e sul livello di attività fisica.
Nel rapporto dell’ISS, alle informazioni qui sopra riportate abbastanza fedelmente, seguono i “Principi di gestione e assistenza al Long-COVID”. Dal quale emergono indicazioni “tecniche” maggiormente indirizzate al personale medico e paramedico. Quali le metodologie di Identificazione del paziente, di valutazione multidimensionale, di approccio multidisciplinare, di assistenza nelle cure primarie (con classi di rischio, valutazione sintomi sospetti, pianificazione del percorso assistenziale), di coinvolgimento del paziente e autogestione, di gestione dei bambini (informazione, monitoraggio, accesso alle cure). Chiudendo poi con esempi di gestione e intervento locali e regionali, ed elementi essenziali di monitoraggio, codifica e ricerca.
Prima di chiudere, vogliamo porre l’attenzione ad uno di questi paragrafi che a nostro avviso appare cruciale per il presente e ancora di più per il futuro, ovvero l’argomento del “Coinvolgimento del paziente e dell’Autogestione”. Riportiamo per intero qui sotto quanto scritto al proposito nel rapporto e invitiamo tutti coloro che soffrono di sintomi persistenti, oppure coloro che assistono persone che ne soffrono, di leggere bene questa tabella.
Fonte: Rapporto ISS COVID-19 n. 15/2021Foto di Edward Jenner su Pexels
Non è Epidemia, non è Pandemia, non è Endemia… il COVID-19 è una SINDEMIA
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Dal greco sýn-dímos = σύν (insieme) e δῆμος (popolo), e rinominato anche dalla crasi del neologismo inglese syndemic (synergy + epidemic) coniato dall’antropologo statunitense Merril Singer nella metà degli anni ‘90 [1], la Sindemia sta a significare una relazione tra più malattie e condizioni ambientali o socio-economiche. L’interagire di patologie e specifiche condizioni rafforza e aggrava ciascuna di esse. A differenza di una “semplice pandemia” in grado di colpire più o meno indistintamente il corpo umano con la stessa rapidità e gravità ovunque nel mondo, la sindemia è piuttosto un insieme di “patologie pandemiche” non solo sanitarie, ma anche sociali, economiche, psicologiche, dei modelli di vita, di fruizione della cultura e delle relazioni umane.
[1] Termine poi esplicitato nel libro del 2009: “Introduction to Syndemics: A Critical Systems Approach to Public and Community Health” Merrill, S. (2009) Wiley
Il 15 Novembre scorso, il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Prof. Silvio Brusaferro, intervenendo alla cerimonia di apertura dell’anno accademico dell’Università di Udine (dove è anche docente) ha ribadito il concetto di Sindemia: <<Noi la chiamiamo pandemia, ma in realtà è una sindemia, un termine nuovo che sta a dire che ci troviamo di fronte a una situazione dove ci sono interazioni, tra elementi biologici e sociali, che alterano e modificano continuamente gli stati e le condizioni di salute e che possono incrementare la suscettibilità delle persone a possibili danni o anche peggiorare il loro stato di salute>>[2]
In realtà il termine non è nuovo, come abbiamo già visto risale agli anni ‘90, approfondito agli inizi del 2000 e il concetto era già stato ripreso il 26 Settembre 2020 in un editoriale sul The Lancet da parte del suo direttore Richard Horton: “COVID-19 is not a pandemic” [3] che dichiarava <<Due categorie di malattie interagiscono all’interno di popolazioni specifiche: l’infezione da sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) e una serie di malattie non trasmissibili. Queste condizioni si stanno raggruppando all’interno dei gruppi sociali secondo modelli di disuguaglianza profondamente radicati nelle nostre società. L’aggregazione di queste malattie in un contesto di disparità sociale ed economica aggrava gli effetti negativi di ogni singola malattia. Il COVID-19 non è una pandemia. È una sindemia >>.
Quindi il concetto di Sindemia riguarda l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata. Propone uno sguardo diverso, una diversa metodologia di analisi circa le origini della malattia, di ogni malattia non solo il COVID, partendo dall’assioma che la salute e il benessere del singolo e della comunità sono inscindibilmente collegati.
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Gli epidemiologi e antropologi medici che nell’interesse della salute pubblica studiano gli effetti delle condizioni sociali sulla salute, ci spiegano che l’aggregazione di due o più epidemie, contemporanee o sequenziali, o raggruppamenti di malattie, si sviluppano in condizioni di disparità di salute, causate da povertà, stress o violenza strutturale. E ciò aggrava la prognosi e il peso delle malattie. L’approccio sindemico indaga sulle cause non esclusivamente cliniche che portano allo sviluppo all’interno di una certa comunità piuttosto che un’altra, alla diffusione in certe aree geografiche, in determinati contesti sociali, economici e di stile di vita.
E infatti come abbiamo imparato in questi mesi, la pandemia da COVID-19 coinvolge non solo temi di salute ma anche ambientali, sociali ed economici con impatto su tutta la popolazione, in particolare sui più fragili. Ci sono dei dati [4] che secondo noi vale la pena riportare: Oltre il 67% dei deceduti positivi in Italia dall’inizio dell’epidemia aveva 3 o più patologie. L’età media dei decessi è di 80 anni. Il numero medio di patologie già presenti nei deceduti è di 3,7. Le patologie sono: cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, ictus, ipertensione arteriosa, demenza, epatopatia cronica, HIV, obesità, diabete, cancro. Le complicanze sono Insufficienza respiratoria al 93,6%, danno renale acuto 24,9%, sovrainfezione 20,1%, danno miocardico 10,2% (da considerare la compresenza delle complicanze).
Un’elevata percentuale di decessi legati all’infezione da SARS-CoV-2, circa il 20-25% in alcuni Paesi del mondo, si è verificata in persone con demenza. [5]In Italia il 23,6% dei pazienti deceduti positivi al SARS_CoV2 in ospedale era affetto anche da demenza (il 34% degli over 80). [6]
[5] Suárez-González A, Livingston G, Low LF, et al. Impact and mortality of COVID-19 on people living with dementia: cross-country report. – LTCcovid.org, International LongTerm Care Policy Network, CPEC-LSE; 2020 / L’IMPATTO DELLA PANDEMIA DI COVID-19 SULLE PERSONE CON DEMENZA Marco Canevelli, Ilaria Bacigalupo, Giulia Remoli, Emanuela Salvi, Teresa Di Fiandra e Nicola Vanacore – Centro Nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute, ISS – Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma – Centro Nazionale Ricerca e Valutazione Preclinica e Clinica dei Farmaci, ISS – [6] ISS Report Luglio 2021 – ISS Congressi 21|C3 14° Convegno.
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Se si pensa alle possibilità individuali e collettive di accesso all’assistenza e alle cure, o piuttosto alla difficoltà di accesso in molte aree sociali o zone geografiche, anche al di fuori dei vari servizi sanitari nazionali, alla capacità di informazione, di prevenzione, di comprensione, appare abbastanza chiaro il rischio aumentato dalle disparità sociali ed economiche.
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Il prof. Brusaferro ha aggiunto: << E’ proprio questa interazione che ci lascia un insegnamento importantissimo per il presente e per il futuro così come abbiamo visto che la salute e il benessere del singolo e della comunità sono inscindibilmente collegati, e ogni scelta individuale impatta anche su quella della comunità e viceversa. Inoltre salute, benessere e la crescita economica sono strettamente legati>>.
Spesso a torto le pandemie, si pensi alla peste e alle più recenti influenze, sono considerate una sorta di “livella”. Qualcosa che colpisce tutti indistintamente. Invece lungi dall’essere così nella realtà dei fatti. La SARS-CoV-2 nei suoi effetti più gravi colpisce sempre, maggiormente, gli ultimi: i poveri, chi vive in assenza di istruzione e informazione adeguata, chi vive in ambienti con scarse misure igienico-sanitarie, chi è affetto da malattie croniche (a volte frutto di scorretti stili di vita e alimentari) e dall’età avanzata.
Gli stessi vaccini, strumenti preziosi per contenere il virus, o le cure che prossimamente saranno certamente sperimentate e proposte, rischiano di disperdere il loro potenziale a causa delle diseguaglianze sociali ed economiche sul nostro pianeta.
Ancora Richard Horton: << La crisi economica che avanza verso di noi non sarà risolta da un farmaco o da un vaccino. È necessario niente di meno che un risveglio nazionale. L’approccio al COVID-19 come sindemia inviterà a una visione più ampia, che comprenda istruzione, occupazione, alloggio, cibo e ambiente. Considerare il COVID-19 solo come una pandemia esclude un prospetto così ampio ma necessario>>.
Un concetto, ormai un’abitudine, che è parte integrante dell’evoluzione dell’esperienza umana
Foto di Anna Shvets su Pexels
Questo neologismo esprime il concetto della interazione tra fisico e digitale (crasi tra Physical e Digital) ed è ormai diventato un termine chiave dell’innovazione. Si può arrivare a definire phygital qualsiasi esperienza di ibridazione e di contaminazione tra fisico e digitale. Una delle diverse nuove convenzioni linguistiche, appartenente alla stessa area semantica del concetto onlife (online+life) coniato da Luciano Floridi. Concetto a cui magari dedicheremo un altro articolo in futuro.
È acclarato che l’emergenza sanitaria ha trasmesso un’accelerazione alla digitalizzazione per ragioni di distanziamento sociale, contribuendo così a intensificare il già preesistente modello phygital. La pandemia ha indotto le aziende a cercare nuove modalità di interazione con la clientela e il marketing non può fare altro che cavalcare questa tendenza. Trend che d’altronde pare riscuotere sempre maggiori consensi presso i consumatori; sempre più apprezzati gli ecosistemi integrati tra digitale e fisico, ponti tecnologici che offrono stimolanti esperienze interattive. Per garantire l’esperienza phygital sono necessari tre elementi: immediatezza, immersione, interazione. Gli ambiti in cui il phygital si concentrerà in futuro sono principalmente l’intrattenimento, la comunicazione e i servizi ai clienti.
Durante il 2020 si è registrato un incremento del +3,4% degli acquisti online da parte degli italiani [1]; il telelavoro è aumentato del 10% [2], anche la didattica a distanza e l’e-learning hanno ricevuto una grossa spinta. Gli eventi in presenza si sono dovuti fermare, ma anche in fasi di non emergenza hanno mantenuto forme ibride di svolgimento grazie allo streaming, alle piattaformeweb, ai social network.
Il marketing quindi parte da un forte dato di tendenza nell’evoluzione dell’esperienza umana: i clienti sono iperconnessi, mantengono un rapporto sempre più stretto con la tecnologia e sono in grado di vivere simultaneamente sia il mondo fisico, sia quello digitale. Oltre a tecnologie innovative bisognerà anche incrementare la multicanalità, ovvero il passaggio dell’utente tra i vari canali (es: sito web e luogo fisico) senza soluzione di continuità.
Sono sempre di più i settori in cui si sperimenta il concetto di Phygital. Naturalmente il commercio è il settore in cui si stanno concentrando gli sforzi maggiori da parte delle aziende. Una recente ricerca realizzata da BVA Doxa in collaborazione con Salesforce, “Phygital Shopping Experience: opportunità per i retailers per incrementare loyalty e sales” [3], ha consentito di definire la situazione attuale e le prospettive future. Nel primo trimestre del 2021, l’Italia è il quarto paese al mondo in quanto a crescita del commercio digitale (+78%) [4]. Oltre 3 italiani su 4 (74%) hanno fatto acquisti in modalità phygital nell’ultimo anno, in particolare per quanto riguarda abbigliamento (28%), elettronica (24%) e beauty (21%). Il 30% si è dichiarato molto soddisfatto, sebbene abbia riconosciuto ampi margini di miglioramento necessari. Per l’86% la comunicazione di offerte tramite strumenti digitali potrebbe aumentare ulteriormente l’esperienza in negozio. Il 52% considera gli assistenti virtuali un plus per la customer experience solo se affiancati al personale di vendita. Inoltre i consumatori italiani hanno dichiarato che gradirebbero una maggiore personalizzazione dell’offerta, identificazione del cliente, conoscenza delle preferenze e delle esperienze passate, al fine di ottenere consigli specifici (48%) e per evitare problemi già capitati (44%). La metà degli intervistati raccomanderebbe alla propria cerchia di conoscenti il negozio che disponesse di questo tipo di servizio. Tuttavia dato molto importante è quel 59% dei consumatori ancora preoccupato per il trattamento dei propri dati sensibili.
Foto di Mikhail Nilov su Pexels
La customer experience riveste un ruolo fondamentale per l’esperienza phygital. Il cliente/utente deve poter conservare un ricordo piacevole. È quindi necessario porre massima attenzione all’aspetto emozionale, agevolando picchi emotivi. Non è sufficiente ridurre le insoddisfazioni, ma vanno altresì pianificati momenti significativi, memorabili e sorprendenti durante l’esperienza del cliente/utente. Quindi l’esigenza di offrire un’esperienza sul modello EPIC: Elevation (momenti che elevano al di sopra della routine, coinvolgenti, sorprendenti, motivanti, gioiosi), Pride (momenti di commemorazione del successo, riconoscimento dello sforzo, ricompense, riconoscimenti, raggiungimento obiettivi), Insight (produrre momenti di intuizione, di epifania, di auto-consapevolezza), Connection (momenti aggreganti, di interazione, di approfondimento dei legami, di incontri positivi)
Poiché conforme e ausiliario al nostro progetto, e scusandoci in anticipo con gli autori per la sintesi effettuata (in fondo all’articolo lasciamo il link della versione integrale), riportiamo volentieri i risultati di una ricerca svolta dal spsTREND(*), Laboratorio di ricerca sul cambiamento sociale e politico “Hans Schadee”, volta a studiare il “malessere psico-fisiologico durante la pandemia da COVID-19 in Italia”.
Il nostro progetto Pandemitaly pare più o meno aver raccolto la stessa sfida degli autori di questa ricerca, ovvero ravvisare e capire le ripercussioni sociali, economiche, politiche (per quanto ci riguarda anche emozionali) della complicata crisi che travolge il mondo da dicembre 2019.
L’Italia è stato il primo paese europeo a essere colpito dalla pandemia e a ricorrere a severe misure di contenimento, offre perciò un’opportunità preziosa per dare una risposta a quesiti importanti sulle opinioni e i comportamenti delle persone in un periodo di crisi di tale portata.
(*) spsTREND è una risorsa a disposizione del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano dedita alla realizzazione di alcune attività di ricerca previste dal progetto premiale ministeriale 2018-2022 (Dipartimenti di Eccellenza). Il laboratorio ha realizzato il progetto ResPOnsE COVID-19, con l’obiettivo è di sviluppare una infrastruttura di ricerca per la raccolta dati e il monitoraggio quotidiano dell’opinione pubblica durante l’emergenza COVID-19, e con lo scopo di studiare i cambiamenti di comportamento, di opinione e di benessere psico-fisico degli italiani maggiorenni soggetti alle restrizioni imposte dalle politiche locali e nazionali di contenimento del Coronavirus.
In occasione della 74esima conferenza annuale della Wapor (World Association for Public Opinion Research) Francesco Molteni, Simone Sarti e Giulia Dotti Sani, membri del laboratorio spsTREND, hanno presentato questa ricerca dal titolo “Using ResPOnsE COVID-19 data to monitor psycho-physiological distress during the pandemic in Italy”.
Il quadro di riferimento dello studio
Obiettivo principale:
Studiare i livelli e i cambiamenti del disagio psicofisiologico durante la pandemia in Italia, il primo paese europeo ad essere colpito dal COVID-19 nel febbraio 2020.
Verifiche della ricerca:
livelli generali di malessere
disagio specifico legato all’esperienza di un evento negativo (definito come avere un membro della famiglia malato di o deceduto per COVID-19)
se soggetti con caratteristiche socio-economiche diverse abbiano avuto diversi livelli di malessere (in generale e in reazione a un evento negativo in particolare)
differenze tra persone con caratteristiche socio-economiche differenti in termini di età, genere e occupazione
modo in cui il malessere è variato nel tempo
Fatti noti prima della pandemia:
la perdita di una persona cara corrispondeva ad un drammatico calo del benessere, con conseguenze negative e durature in termini di salute mentale e funzionamento sociale.
alcuni gruppi socio-economici differiscono nella misura in cui manifestano malessere psicofisiologico.
Già noto a priori dallo studio che la perdita di un familiare subita durante la pandemia suscita reazioni di lutto più acute rispetto a prima dell’emergenza sanitaria.
Lo studio cerca di rispondere a quattro domande di ricerca
Quali gruppi sociali hanno sofferto il maggior malessere psicofisiologico durante la pandemia?
Quali gruppi hanno sofferto maggior malessere dopo un evento negativo?
Quali gruppi hanno recuperato maggior benessere nel corso della pandemia?
Quali gruppi hanno recuperato maggiormente a seguito di un evento negativo?
Per rispondere a queste domande, la ricerca si è basata sui dati del progetto ResPOnsE COVID-19. I dati, ottenuti tramite un panel opt-in e seguendo un disegno rolling cross-section, sono stati raccolti tra aprile e luglio 2020 e marzo e giugno 2021 e comprendono anche una componente panel, ovvero una percentuale di soggetti che è stata intervistata in entrambe le rilevazioni.
La variabile dipendente è il malessere psicofisiologico, misurato come la frequenza con cui i soggetti si sono sentiti nervosi, depressi, soli o hanno sperimentato reazioni fisiche avverse nell’arco della settimana precedente l’intervista. La principale variabile indipendente è aver vissuto un evento negativo correlato al COVID-19, ovvero un membro della famiglia contagiato da COVID-19, ricoverato, o eventualmente deceduto.
Ecco i risultati dello studio in sintesi
I soggetti che hanno vissuto la morte di un parente mostrano livelli più alti di malessere psicofisiologico rispetto a persone che non hanno vissuto alcun evento negativo [fig.1].
Le donne [fig.2] e i giovani [fig.3 e fig.7] hanno maggiori probabilità di mostrare livelli più elevati di malessere rispetto agli uomini e ai soggetti più anziani.
[fig.1] Differenze per evento – Grafica: spsTREND
[fig.2] Differenze per genere in caso di evento negativo – Grafica: spsTREND
[fig.3] Differenze per età in caso di evento negativo – Grafica: spsTREND
I soggetti che sono disoccupati [fig.4] o che hanno difficoltà a far fronte al reddito [fig.5] hanno livelli di disagio più elevati.
[fig.4] Differenze per stato occupazionale – Grafica: spsTREND
[fig.5] Differenze per reddito – Grafica: spsTREND
Per il genere [fig.6] e il reddito [fig.5] le differenze di livelli di malessere sono più pronunciate in assenza di un evento negativo (malattia e lutto) e sostanzialmente scompaiono tra coloro che hanno vissuto la morte di un familiare.
[fig.6] Differenze per genere – Grafica: spsTREND
I soggetti più anziani sembrano riportare minor malessere rispetto ai più giovani [fig.7]
[fig.7] Differenze per età – Grafica: spsTREND
Quello dei disoccupati è il gruppo che segnala il più alto livello di malessere in assoluto dopo la morte di un parente a causa del COVID-19.
Il Trionfo della Morte di Giacomo Borlone de Buschis
Nella maggioranza dei casi la pandemia è una zoonosi, ovvero una malattia trasmessa dagli animali. Generalmente nasce dalla convivenza tra persone e animali da allevamento, in alcuni casi con gli animali selvatici o la macellazione della selvaggina, quindi favorita nella sua diffusione dai centri urbani con alta densità abitativa.
Nella storia umana le pandemie sono state agevolate dagli spostamenti umani, ma anche dalla conquista e dalla colonizzazione di nuovi territori. Batteri e virus sconosciuti ai sistemi immunitari delle popolazioni indigene hanno spesso causato grandi stragi.
Le pandemie sono parte integrante della storia umana e spesso ne hanno cambiato il corso. Di seguito le principali.
Yersinia pestis
Periodo: XVI sec. / Attuale – Morti:non calcolabile
È il batterio agente eziologico della peste, isolato solo nel 1894, esistente probabilmente da millenni. È una zoonosi trasmessa dai roditori e il cui vettore è la pulce dei ratti, è trasmissibile sia per contatto sia per aerosol, e anche da uomo a uomo. La peste si presenta in 3 quadri clinici principali: bubbonica, setticemica e polmonare. Derivante dal latino pestis (“distruzione, grande malattia”), sin dall’Alto Medioevo al bacillo Yersinia pestis sono state attribuite tutte le pandemie più devastanti sebbene non ci sia stata mai una reale certezza. Alcune pandemie nell’antichità potevano anche essere ricondotte al vaiolo, al colera, oppure addirittura alla varicella o al morbillo.
Al collasso delle popolazioni neolitiche di circa 5 mila anni fa, documentato soprattutto in Asia dal ritrovamento di fosse comuni, potrebbero aver concorso malattie trasmissibili come appunto il micidiale batterio Yersinia pestis. All’incirca nel 1200 a.c una “peste” devastò l’Impero Ittita, che poi terminò nel giro di una trentina di anni. Quindi la “peste” (forse invece febbre tifoide) colpì anche Atene nel 430 a.c., in piena guerra contro Sparta, e causò circa 100 mila morti e 5 anni di sofferenze. In seguito scoppiò ancora nella Roma dell’Età d’oro degli Antonini, tra gli anni 166 e 180, e successivamente a Cartagine, coinvolgendo Roma e il suo Impero tra il 250 e il 278; per entrambe si stima che morirono tra i 5 e gli 8 milioni di persone; ed entrambe le pandemie finirono solo grazie alla temporanea immunità di gregge, ai moltissimi decessi e all’abbandono delle città. In quel periodo iniziò la fine dell’Impero Romano.
Poi arrivò la peste di Giustiniano nel 542, la prima pandemia storicamente attribuibile con certezza allo Yersinia pestis, della quale anche lo stesso imperatore bizantino si ammalò riuscendo però a guarire, che partì da Costantinopoli e coinvolse rapidissimamente tutto l’Impero Romano d’Oriente, uccidendo oltre 4 milioni di persone e che riprese anche nel 558. Molti studiosi concordano che la peste contribuì notevolmente all’indebolimento dello Stato Bizantino e di tutto l’Impero al punto di segnare una linea di demarcazione per la nascita del Medioevo. La peste continuò ad affliggere il genere umano nei secoli a venire in varie ondate.
La Peste ad Ashdod di Nicolas Poussin
Peste nera
Periodo: XIV secolo / XVI secolo – Morti: non calcolabile
Si stima che tra il 1346 e il 1353 circa un terzo della popolazione europea venne sterminato dal morbo della cosiddetta peste nera. Chiamata così in quanto sulle vittime comparivano macchie scure e livide, quali emorragie della cute e delle mucose. La pandemia più spaventosa per antonomasia nell’immaginario collettivo e che, a varie ondate, durò circa 3 secoli. Originaria dell’Asia centrale e quindi spostata in Mongolia, Cina, Siria, Turchia, quindi in Egitto, Grecia, penisola balcanica, sbarcò in Sicilia nel 1347, quindi raggiunse Firenze e Genova; passando per la Svizzera si estese in Francia e Spagna e nel 1349 raggiunse anche la Gran Bretagna e l’Irlanda. Quasi unanimemente, ma solo 5 secoli dopo, venne attribuita la paternità allo Yersinia pestis, il batterio isolato solo nel 1894, che generalmente viene trasmesso agli uomini dai ratti per mezzo delle pulci o per morso diretto. L’assoluta ignoranza scientifica in materia e le condizioni igieniche pessime fecero in modo che si compì la strage. Nel 1347 i veneziani introdussero la quarantena, che sarebbe stata chiamata così solo nel 1448, avendo constatato che la malattia aveva un certo tempo di incubazione. Un po’ ovunque venivano adottati miglioramenti delle condizioni igieniche, il distanziamento fisico, la quarantena, i lazzaretti, le privazioni e gli abusi, che insieme a isterie mistiche o pregiudizi religiosi e discriminazioni razziali, caratterizzarono quel periodo tragico dell’umanità, rappresentato e giunto a noi grazie soprattutto alle arti, in primis alla pittura e alla letteratura.
La Peste Nera ha accompagnato l’umanità per molti secoli.
Vaiolo
Periodo:X sec. a. C. / 1979 (dichiarata eradicazione) – Morti:non calcolabile
È un virus (Variola maior e Variola minor) estremamente pericoloso e contagioso, è noto da almeno 3.000 anni e ha da sempre decimato la popolazione mondiale, arrivando ad avere tassi di mortalità fino al 60% negli adulti e l’80% nei bambini; altissima anche la percentuale degli infetti che rimangono sfigurati o ciechi. Presente dalle origini in Asia, Africa e successivamente in Europa, non ci sono testimonianze nelle Americhe fin quando i conquistadores non invasero il Nuovo Mondo e lo portarono con sé; esso si propagò velocemente tra le popolazioni indigene, le quali, non possedendo difese immunitarie specifiche per queste “nuove” malattie, furono colpite in modo massiccio e senza scampo. Si è stimato che in Europa il vaiolo abbia ucciso e sfigurato una media di 400 mila persone ogni anno durante il XVIII secolo, e circa 300 milioni di persone durante tutto il XX secolo. Prima causa di morte in Europa dal ‘700 fino all’eradicazione. Secondo i dati dell’OMS, solo nel 1967 15 milioni di persone contrassero la malattia e di questi 2 milioni morirono. È una delle due uniche malattie (l’altra è la peste bovina, ma non colpiva l’essere umano), che l’uomo è riuscito a debellare con la vaccinazione grazie agli studi di Mary Wortley Montagu (primi del ‘700) ed Edward Jenner (fine ‘700). In seguito ad una massiccia campagna di vaccinazione portata avanti tra il 1958 e il 1977, nel 1979 l’OMS ha dichiarato la malattia eradicata, Il 26 ottobre 1977 è stato registrato l’ultimo caso di contagio del virus, in Somalia, causato da Variola minor, e da allora è considerato estinto.
Il vaiolo ha dato un terribile contributo alle stragi di nativi nelle Americhe
Tifo
Periodo: 430 a.C (?) oppure XI secolo/ Attuale – Morti: non calcolabile
La febbre tifoide o tifo addominale, più comunemente tifo, anticamente era chiamata anche “febbre navale” o “febbre da accampamento” perché si diffondeva più facilmente e rapidamente in situazioni di guerra o sulle navi e nelle prigioni. Il tifo è provocato dal batterio Salmonella enterica, a trasmissione oro-fecale, l’unico vettore è l’uomo. Nel 2005 furono scoperte tracce del batterio nei reperti risalenti alla altrimenti nota Peste di Atene del 430 a.C., durante la guerra del Peloponneso. Certamente si sa che il tifo comparse già ai tempi delle Crociate, durante l’assedio di Antiochia del 1097, che fu la causa della morte del Saladino nel 1193, e che poi colpì l’Europa per la prima volta nel 1489, in Spagna; durante i combattimenti a Granada, gli eserciti cristiani persero 3.000 uomini in battaglia e 20.000 per il tifo. Nel 1528 i francesi persero 18.000 uomini in Italia sempre a causa del tifo; nel 1542 durante i combattimenti nei Balcani morirono altre 30.000 persone e la grande armata di Napoleone fu decimata in Russia nel 1811. Ancora il tifo fu la causa di morte per moltissimi reclusi dei campi di concentramento nazisti durante la Seconda guerra mondiale. La febbre tifoide è ancora presente nelle aree a maggior degrado ambientale, dove le condizioni igieniche sono scarse.
Il tifo nelle trincee della prima guerra mondiale
Influenza spagnola
Periodo: 1918/1920 – Morti: 50 / 100 milioni
Il primo caso di influenza spagnola fu registrato durante gli ultimi mesi della Prima Guerra Mondiale, nel marzo 1918, in un ospedale degli Stati Uniti. Fu nominata così, perché la Spagna era rimasta neutrale nella Grande Guerra e quindi le informazioni sulla pandemia circolavano liberamente sul suo territorio, a differenza delle altre Nazioni coinvolte nel conflitto che cercavano di tenere i dati segreti. Questo ceppo aggressivo del virus dell’influenza si diffuse in tutto il mondo di pari passo agli spostamenti delle truppe sui vari fronti. I sistemi sanitari furono al collasso e le camere mortuarie non riuscirono ad accogliere tutte le vittime. Si stima che gli infetti furono 500 milioni in tutto il mondo, e circa 50 milioni le vittime, con un tasso di mortalità quindi di circa il 10%. C’è chi ipotizza invece che si raggiunsero addirittura le 100 milioni di vittime. All’epoca la popolazione mondiale era all’incirca di 2 miliardi di individui.
Sul finire della strage della Prima Guerra Mondiale, arrivò l’influenza spagnola…
Fonte: Economist Intelligence Unit – Pubblicato su Statista.com – Previsioni sulla copertura vaccinale.
Adoriamo le infografiche. Soprattutto quando si riesce a condensare in una sola immagine una quantità importante di dati, che così, da massa semiforme di cifre e percentuali, diventano un insieme di informazioni altamente assimilabili. Proprio come le vitamine.
Nel primo articolo abbiamo fatto parlare di pandemia a dati ‘obliqui’, non direttamente legati a temi sanitari.
In questo secondo articolo a tema, pur rimanendo obliqui, ci avviciniamo di più a dati e cifre più attinenti alla sfera sanitaria.
Dati da ‘fonti aperte’ che offrono uno sguardo, a volte obliquo ma mai fuori fuoco sul mondo che si trova di punto in bianco a far fronte a una situazione davvero nuova.
Le data visualization e infografiche hanno spinto noi ad approfondire alcuni temi legati alla pandemia da Covid-19 e se anche un solo lettore o una sola lettrice verranno spinti a fare altrettanto, questo nostro piccolo studio non sarà stato realizzato invano.
Ogni immagine è corredata di fonti e, ove sia stato possibile reperirlo, anche il nome del creatore.
EMISSIONE DI CERTIFICATI EU-GREEN PASS PER PAESE.
Fonte: Eurostat – Commissione Europea. Green Pass emessi dagli stati EU ed EEA per persona. Autore: Redditor: r/cityuser
Sono stati incrociati i dati della Commissione Europea sull’emissione dei certificati EU-Green Pass (al 13 ottobre 2021) e le statistiche demografiche ufficiali, per i paesi dell’Unione Europea e i paesi EEA (SEE – Spazio Economico Europeo). I dati sui green pass sono poi stati segmentati per tener conto del motivo del green pass. Fanno eccezione Olanda e Norvegia che non hanno fornito dati segmentati ma solo la cifra del totale dei green pass emessi.
L’Austria è il paese che ha emesso più green passXpersona. Ricordiamo che il green pass viene emesso anche a seguito tampone. Prendiamo quindi il caso di una persona che, a prescindere dal motivo, non è vaccinata: probabilmente questa persona si sottoporrà più volte a test tampone per avere libertà di circolazione. Ecco spiegato il senso di dati che ci parlano di ‘5 green passXpersona‘.
Questa infografica è interessantissima ma non di comprensione immediata, perciò merita un piccolo approfondimento.
Sull’asse ‘x’ viene visualizzato il livello di corruzione percepita nei servizi pubblici. Da sx, dove è ‘altissima’, a dx dove è ‘bassissima’.
Sull’asse ‘y’ viene visualizzata la percentuale di cittadini che abbiano ricevuto almeno una dose di vaccino. In basso è bassa e sale andando verso l’alto.
In pratica, più in un paese si percepisce corruzione, più esso si trova a sinistra. Mentre meno vaccinati ci sono in un paese, più esso si trova in basso. I paesi in basso a sx sono i paesi dove più si sente la corruzione nel pubblico e allo stesso tempo meno sono le persone con almeno una dose di vaccino ricevuta.
In Italia il livello di corruzione percepita è basso se confrontato col resto del mondo ma, tra i paesi UE, è dove si percepisce un po’ più di corruzione che altrove; allo stesso tempo vanta un’alta percentuale di chi ha già ricevuto una dose di vaccino.
Per spiegare cosa sono i punti blu senza bandiera, dobbiamo entrare un po’ nel merito dell’elaborazione dei dati (DataNerd alert!)
Stadafa.com, un sito da consigliare, ha preso in considerazione 176 paesi nel mondo, mettendoli in una scala basata sulla percentuale di popolazione che ha ricevuto almeno una dose di vaccino dove al posto 1 c’è il paese con più alta percentuale di vaccinati con almeno una dose e al posto 176 il paese con meno vaccinati.
Ogni punto sulla mappa è un paese. Quelli con la bandiera e il nome sono i paesi dove le due scale che abbiamo appena citato si sovrappongono. I punti blu, al contrario sono le posizioni dei paesi che non si sovrappongono sui due assi (corruzione percepita/percentuale di vaccinati).
Il coefficiente di correlazione lineare (ovvero il fatto che la posizione di un paese nei due indici sia visivamente vicina) che misura la correlazione tra % di vaccinati e corruzione percepita è r=0,7 e in statistica viene definita ‘forte’.
IN SINTESI: è dimostrabile come ci sia una correlazione tra corruzione percepita e propensione a vaccinarsi. Se in un paese le istituzioni godono generalmente di poca fiducia, la popolazione sarà restia a seguire le indicazioni del governo anche durante l’emergenza sanitaria. L’invito del governo a vaccinarsi non viene raccolto.
LO SQUILIBRIO DELLA DISTRIBUZIONE VACCINALE VUOL DIRE DISEGUAGLIANZA
Tra le moltissime infografiche degne di nota su Statista.com questa ci ha colpito in modo particolare.
Le boccette indicano la percentuale di dosi vaccinali somministrate per stato/continente. Vediamo che la Cina si attesta al 32,7% delle dosi vaccinali somministrate globalmente. Ovvero, su 10 dosi somministrate, quasi 4 di esse vengono inoculate in Cina. Poco meno di 1 dose su 10 somministrate lo è nell’Unione Europea.
Questo dato, incrociato con la quota della popolazione mondiale per ciascuna area presa in considerazione, indica un forte squilibrio nel processo di vaccinazione globale.
E in questo caso, squilibrio = disuguaglianza.
Prendiamo per es. l’India, che ha una quota di popolazione globale quasi pari alla Cina e rispetto a quest’ultima somministra meno della metà delle dosi.
Guardando le cifre relative all’Africa, questa disuguaglianza balza agli occhi.
TORNIAMO IN ITALIA: NUMERO DI DECESSI NEL 2020
Confronto media decessi 2015-2019 vs. 2020 nei 12 mesi. Fonte:ISTAT
Torniamo per un momento in Italia. Ringraziamo l’ISTAT per questo grafico che non ha purtroppo bisogno di tante didascalie.
È innegabile: il 2020 è stato davvero un anno funesto e anomalo.
Speriamo in un 2021 migliore, non c’è davvero molto altro da dire…
COVID vs. PESTE. UN CONFRONTO SUL TASSO DI MORTALITÀ
Un semplice glossario di tanti termini sentiti e risentiti a causa del COVID. Siamo ben lieti di raccogliere proposte, scriveteci per aggiungere le vostre.
M
Mascherina chirurgica: dispositivi di protezione individuale, generalmente monouso, che proteggono esclusivamente contro schizzi e goccioline di liquidi biologici, ma non contro gli agenti infettivi in sospensione.
O
Ordinanza: Ordine emanato da un’autorità; norma, provvedimento di carattere legislativo o amministrativo.
P
Paziente zero: Il primo paziente individuato, studiato e sottoposto a terapie all’interno del campione della popolazione di un’indagine epidemiologica.
Polmonite interstiziale: infiammazione dell’interstizio polmonare, il tessuto connettivo a sostegno di bronchi, vasi ed alveoli polmonari.
Quarantena: isolamento temporaneo delle persone colpite o sospettate di avere una malattia contagiosa per tenerle lontane dagli altri in modo da non infettare inconsapevolmente nessuno.
R
Recovery Plan: un piano di risanamento e ripresa economica concordato dalla Commissione europea e il Parlamento europeo.
Recovery fund: un fondo garantito dal bilancio dell’Unione Europea tramite il quale si possono emettere i recovery bond, ovvero obbligazioni da vedere ai risparmiatori.
Respiratore: permette di mantenere a lungo, in maniera artificiale, i movimenti respiratori.
Ristori: sostegno economico in favore delle categorie colpite dalle restrizioni.
RT: indice di trasmissibilità, la media di quante persone possono essere contagiate da una sola persona in un periodo di tempo.
S
Sanificazione: complesso di procedimenti e operazioni di pulizia e/o disinfezione e ricambio d’aria.
SARS-CoV-2: nuovo ceppo di coronavirus non precedentemente identificato nell’uomo. COVID-19 è il nome dato alla malattia associata al virus.
Saturimetro: apparecchiatura medica non invasiva che misura la saturazione di ossigeno nel sangue arterioso periferico (SpO2) e contemporaneamente la frequenza cardiaca, aiutando così ad individuare l’eventuale presenza dei primi segnali di una polmonite, uno dei sintomi più gravi del Coronavirus.
Sierologico (test): verifica la presenza nel sangue degli anticorpi.
Sorveglianza attiva: è una misura durante la quale l’operatore di sanità pubblica provvede a contattare quotidianamente, per avere notizie sulle condizioni di salute, la persona in sorveglianza.
Un semplice glossario di tanti termini sentiti e risentiti a causa del COVID. Siamo ben lieti di raccogliere proposte, scriveteci per aggiungere le vostre.
A
Anticorpi monoclonali: proteine prodotte in laboratorio che imitano la capacità del sistema immunitario di combattere i virus.
Antigene: molecola riconosciuta come estranea o potenzialmente pericolosa dal sistema immunitario di un organismo, che la combatte attraverso la produzione di anticorpi, può essere inoculata allo scopo di indurre la formazione di anticorpi e una risposta immunitaria.
Asintomatico: persona risultata positiva, ma che non manifesta i sintomi della malattia.
Assembramento: affollamento di persone.
Autocertificazione: modulo compilato dai cittadini in caso di restrizioni allo spostamento.
C
Cluster: due o più casi di una stessa patologia verificatasi in un determinato luogo e periodo.
Contact tracing: tracciamento dei contatti: l’attività di ricerca e gestione dei contatti di un caso confermato come positivo.
Covid-coronavirus: la sindrome respiratoria acuta grave. SARS-CoV-2 è un nuovo ceppo di coronavirus che non era stato precedentemente identificato nell’uomo.
D
DAD: didattica a distanza, lezioni per mezzo di connessione internet e video chiamate.
DPCM: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
DPI: Dispositivi di Protezione Individuale .
Droplet: goccioline o insieme di goccioline di saliva emesse dalla bocca quando si parla, si starnutisce o si tossisce, responsabili della trasmissione di agenti patogeni come i virus.
Dispnea: difficoltà respiratoria.
Distanziamento sociale: distanziamento fisico tra le persone per ridurre al minimo la trasmissione della malattia.
Drive through: punti dove è possibile sottoporsi a tampone senza scendere dall’auto.
F
Focolaio: Territorio non molto esteso in cui si manifesta un evento morboso collettivo.
I
Immunità di gregge: capacità di un gruppo, una comunità, una popolazione, di respingere un’infezione grazie all’immunità acquisita da una grossa porzione dei membri del gruppo.
Immunologo: studioso specializzato in immunologia.
Infodemia: diffusione rapida e capillare di informazioni, sia accurate, sia imprecise, per cui diventa difficile apprendere le informazioni corrette ed essenziali su un problema.
Isolamento fiduciario: separazione spontanea delle persone che hanno avuto contatti a rischio, generalmente presso il proprio domicilio.
L
Lockdown: Isolamento, chiusura e blocco d’emergenza.